A chi spettano i premessi della Legge 104/1992

I permessi lavorativi Legge 104/1992: gli aventi diritto

È necessario comprendere chi siano gli “aventi diritto”, cioè quali siano quei lavoratori che possono richiedere l’accesso ai permessi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992. È da far notare subito che gli aventi diritto ai permessi lavorativi non sono gli stessi che possono anche richiedere i due anni di congedo retribuito (di cui parliamo nelle pagine successive). Per quella seconda agevolazione la normativa è infatti (per ora) molto più restrittiva.
Hanno diritto ai permessi lavorativi retribuiti, con diverse modalità, criteri e condizioni, la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, entro i primi tre anni di vita del bambino; la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, dopo il compimento del terzo anno di vita del bambino disabile e poi a seguire nella maggiore età; i parenti o gli affini che assistono la persona disabile non ricoverata in istituto.
Hanno infine diritto ai permessi lavorativi i lavoratori disabili in possesso del certificato di handicap grave.
I permessi spettano anche nel caso in cui i genitori siano adottivi o affidatari, in quest’ultimo caso solo nell’ipotesi di disabili minorenni. L’affidamento infatti può riguardare soltanto soggetti minorenni (articolo 2, Legge 149/2001).

Primi dodici anni di vita

I genitori di bambini con certificazione di handicap grave (art. 3 comma 3, legge104/1992) possono fruire anche dei congedi parentali già riconosciuti alla generalità dei lavoratori contando su un trattamento di maggior favore. Ricordiamo il beneficio previsto dall’articolo 32 del decreto legislativo 151/2001 che è stato da ultimo modificato dal decreto legislativo 80/2015.

Esso prevede che per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per sei mesi. Se fruiscono entrambi i genitori il limite complessivo è di dieci mesi, ma se il genitore padre fruisce di almeno tre mesi di permesso il limite è elevato a undici mesi complessivi. Qualora vi sia un solo genitore egli ha diritto ad un congedo per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi. Nel caso di adozione e affidamento il congedo va fruito entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia.

Il congedo parentale è esteso anche alle lavoratrici autonome (art. 69, d. lgs. 151/2001).

I genitori di bambini con disabilità (in possesso di certificazione di handicap grave) hanno diritto al prolungamento del congedo parentale – continuativo o frazionato – fino alla durata di tre anni entro il compimento dei dodici anni del bambino.

Per la generalità dei casi per i periodi di congedo parentale è dovuta, fino al sesto anno di vita del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L’indennità continua ad essere erogata oltre i sei mesi e fino all’ottavo anno di età del bambino solo se il reddito individuale sia molto basso (inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e il reddito è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l’integrazione al minimo).

Al contrario per i genitori di bambini con disabilità l’indennità spetta per tutto il periodo di prolungamento. 

I congedi parentali possono essere frazionati su base oraria (art. 32, commi 1 bis e 1 ter, d. lgs. 151/2001). Ricordiamo però che la fruizione del prolungamento del congedo (figli con disabilità) è incompatibile con la fruizione dei permessi delle due ore di riposo giornaliero retribuito previste dall’articolo 33, commi 2 e 3 della legge 104/1992, fino al terzo anno di età del bambino o dei tre giorni di permesso mensili previsti dall’articolo 33, comma 3 della legge 104/1992.

Va precisato che il limite di dodici anni è stato fissato sperimentalmente (articolo 26) dal Decreto 15 giugno 2015, n. 80 per il solo 2015. Se non interviene successivamente alcuna disposizione di proroga o di consolidamento il limite torna ad essere quello previgente e cioè 8 anni.

Dopo il terzo anno di vita

Dopo il compimento del terzo anno di vita del figlio con handicap grave, la madre, o in alternativa il padre, ha diritto non più alle due ore di permesso, ma ai soli  tre giorni di permesso mensile, che possono essere fruiti in via continuativa ma devono essere utilizzati nel corso del mese di pertinenza.
È importante sottolineare che la Legge 8 marzo 2000, n. 53 (articolo 20) ha precisato definitivamente che i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto. Ad esempio, quindi, i permessi spettano al lavoratore padre anche nel caso la moglie sia casalinga o disoccupata, o alla lavoratrice madre se il padre è lavoratore autonomo.

Inoltre, l’articolo 24 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 ha introdotto un elemento di ulteriore flessibilità: ha precisato che il diritto ai tre giorni di permesso “è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, anche in maniera continuativa nell’ambito del mese.”

Maggiore età

Dopo il compimento della maggiore età, la lavoratrice madre, o – in alternativa – il lavoratore padre, ha diritto ai tre giorni mensili alle stesse condizioni fissate per gli altri gradi di parentela.
Sia INPS che INPDAP – pur con diverse modulazioni – hanno ripreso nelle loro circolari queste indicazioni.
Anche in questo caso i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto.

Parenti, affini e coniuge

L’articolo 33 della Legge 104/1992 prevede che i permessi di tre giorni possano essere concessi anche a familiari diversi dai genitori del disabile grave accertato tale con specifica certificazione di handicap (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992) dall’apposita Commissione operante in ogni Azienda USL.

L’articolo 24 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 ha ridefinito la platea degli aventi diritto, modificando l’articolo 33 della Legge 104/1992. Questa disposizione va letta in modo combinato con la più recente legge 20 maggio 2016, n. 76 che ha disciplinato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto prevedendo l’estensione delle disposizioni che riguardano i coniugi.

Secondo la vigente disposizione in assenza di ricovero della persona con handicap grave da assistere, possono godere dei tre giorni di permesso mensile retribuiti e coperti da contributi:

1. il genitore;

2. il coniuge;

3. la parte dell’unione civile, la parte della coppia di fatto (ex legge 76/2016)

4. il parente o l’affine entro il secondo grado (esempio, nonni, nipoti in quanto figli del figlio, fratello).

I parenti ed affini di terzo grado (esempio, zii e bisnonni) possono fruire dei permessi lavorativi solo ad una delle seguenti condizioni:

a) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap siano deceduti o mancanti;

b) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti. 

Va anche sottolineato che, in forza delle modificazioni introdotte dalla Legge 183/2010 sono scomparsi dalla normativa i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa richiesti, in precedenza, nel caso il lavoratore non fosse convivente con la persona con disabilità. L’obbligo di convivenza era stato superato dall’articolo 20, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53 a condizione, appunto, che sussistesse la continuità e l’esclusività dell’assistenza.

Amministratori di sostegno e tutori

Il tutore o l’amministratore di sostegno che assista con sistematicità ed adeguatezza la persona con handicap grave può – ad oggi – ottenere i permessi lavorativi solo se è anche il coniuge o un parente o un affine fino al terzo grado della persona con handicap grave. Lo ha chiarito, con la Risoluzione 41 del 15 maggio 2009, il Ministero del Lavoro.
A parere della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro quei benefici lavorativi non possono essere concessi nemmeno nel caso in cui l’amministratore di sostegno o il tutore assicurino l’assistenza con continuità ed esclusività o con sistematicità ed adeguatezza.
Ricorda il Ministero che la platea dei beneficiari è rigidamente disciplinata dal Legislatore e che le uniche variazioni sono state previste dalla Corte costituzionale (peraltro per i beneficiari dei congedi retribuiti biennali).

Lavoratori con handicap

I lavoratori disabili, in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità, possono richiedere due tipi di permessi: un permesso pari a due ore giornaliere, oppure tre giorni di permesso mensile.
Dopo una serie di pareri e sentenze di segno opposto, la Legge 8 marzo 2000, n. 53 ha definitivamente chiarito (articolo 19) che i due tipi di permesso non sono fra loro cumulabili, ma sono alternativi: o si usufruisce dei tre giorni di permesso oppure delle due ore giornaliere.
Per gli assicurati INPS una Circolare (n. 133/2000, punto 1) ammette che la variazione da fruizione a ore a fruizione in giornate e viceversa possa essere eccezionalmente consentita, anche nell’ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta di permessi, esigenze che, peraltro, devono essere opportunamente documentate dal lavoratore.
Indicazioni analoghe vengono fornite dalla Circolare INPDAP 9 dicembre 2002, n. 33«Alcuni contratti collettivi di lavoro (es. art. 9, comma 3, del CCNL del Comparto dei Ministeri, stipulato in data 16.2.99) hanno introdotto, rispetto alla previsione normativa, l’ulteriore agevolazione della frazionabilità ad ore dei permessi a giorni, di cui al comma 3 dell’art. 33 della legge 104/92, allo scopo di consentire al personale beneficiario una più efficace soddisfazione dell’interesse tutelato. Pertanto, sotto il profilo delle modalità di utilizzo, il dipendente non incontra alcun limite prestabilito.
È, quindi, possibile, eccezionalmente, nel caso in cui dovessero sopraggiungere esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta dei permessi, variare anche nell’ambito di ciascun mese la programmazione già effettuata in precedenza. Pertanto, nei casi in cui il dipendente intenda fruire nello stesso mese sia di permessi orari che di quelli giornalieri, si procederà alla conversione in giorni lavorativi delle ore di permesso fruite, che quindi andrà a ridurre il numero dei giorni di permesso mensile spettanti, previsti dalle specifiche norme contrattuali di settore. Solo un residuo di ore non inferiore alla giornata lavorativa dà il diritto alla fruizione di un intero giorno di permesso».
Anche in questo caso va ricordato che i permessi non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio.

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