
A distanza di nove anni da un precedente sondaggio di Uildm , una nuova ricerca scopre che troppo poco è cambiato in questo senso nel nostro Paese
Gli ambulatori ginecologici davvero «a misura» di donne disabili in Italia si possono contare sulle dita di una mano. E questo conteggio non è cambiato negli ultimi nove anni. È il panorama che comincia a delinearsi dai primi dati del «Questionario di rilevazione accessibilità dei servizi ginecologici alle donne con disabilità» che il Gruppo Psicologi e il Gruppo Donne di Uildm ha lanciato alla fine dell’anno scorso e continuerà a proporre alle strutture sanitarie in Italia per tutto il 2022. Quattro, infatti, i centri che finora hanno fornito i dati. ino, uno a Firenze e uno a Roma. Gli stessi che, sono risultati come le uniche «best practice» a livello nazionale.
Deterrente per la cura
Il questionario 2022 si pone l’obiettivo di verificare lo «stato dell’arte» sia dal punto di vista dell’accessibilità in senso stretto, sia di aspetti pratici come la facilità di fruizione delle apparecchiature da parte di donne in carrozzina, i collegamenti attraverso mezzi di trasporto accessibili, la possibilità di compilare la documentazione con strumenti digitali. La finalità della ricerca però non è soltanto la raccolta dei dati ma, come si diceva, il confronto con quelli del precedente Report del 2013, «L’accessibilità dei servizi di ginecologia e ostetricia alle donne con disabilità».
Da quello studio su un campione di 61 ambulatori emergevano tutta una serie di criticità. Le più evidenti riguardavano proprio l’inaccessibilità degli ambulatori, la mancanza di servizi e attrezzature dedicate, la scarsa preparazione dello staff. Nelle donne con disabilità, tutti questi problemi generano una grande frustrazione. La combinazione dell’inaccessibilità degli ambulatori ginecologici con la negazione della propria femminilità e di tutto ciò che ne consegue, infatti, finisce con l’agire da deterrente per la cura e la prevenzione della salute ginecologica come testimoniano anche i Focus group attivati sul progetto «Sessualità, maternità, disabilità».
A caccia di «buone prassi»
Il nuovo sondaggio è tornato a scavare tra le strutture italiane di ginecologia veramente accessibili che possano essere identificate come «buone prassi». «Abbiamo ritenuto utile rintracciare e raccontare le realtà ambulatoriali più virtuose — sottolinea Stefania Pedroni, vicepresidente di Uildm — per mostrare come si possa rendere un ambulatorio ginecologico maggiormente fruibile alle persone con disabilità motoria, auspicando di riuscire a replicarlo in tutte le regioni d’Italia».
Fino a oggi, appunto, all’appello hanno risposto gli stessi quattro servizi già segnalati nove anni fa. «Non è così strano, perché per dedicarsi in modo corretto a questa realtà bisogna non solo avere esperienza e relazionarsi con colleghi specialisti in altre discipline, ma soprattutto investire tempo e riservare spazio non solo fisico ma anche mentale», dice a, specialista in Ginecologia e Ostetricia presso l’ospedale Sant’Anna di Torino e referente dell’ambulatorio disabilità. «In effetti siamo un po’ delle “isole”. Le realtà strutturate come la nostra sono poche, perché di solito vengono portate avanti iniziative legate a qualche progetto che però poi si ferma», aggiunge Cristiana Fabretti, assistente sociale al consultorio familiare
Toscana, l’algoritmo dei bisogni speciali
In Toscana, il Servizio Rosa Point così come il Servizio ASDI hanno fatto in qualche modo da «apripista» al percorso globale PASS della Regione Toscana, nato nel 2017 per andare incontro alle esigenze anche complesse di salute dei cittadini con disabilità. «Il PASS prevede un modello organizzativo innovativo — spiega i, ginecologa project manager Pass-Aou Careggi Firenze —. Parte dall’individuazione della tipologia di servizi e spazi da assicurare alle persone e accorgimenti ambientali relativi, i cosiddetti “accomodamenti ragionevoli”, valutati mediante l’algoritmo dei bisogni speciali (ABS) che si trova nella piattaforma dedicata sul portale della Regione Toscana a cui il paziente o il familiare o caregiver deve accedere per registrarsi e richiedere la prestazione».Tra l’altro l’esperienza del Servizio Rosa Point con i lettini ginecologici elettrici regolabili in altezza è servita da «modello» per dotarne di identici le Aziende sanitarie territoriali sprovviste, per facilitare l’accesso allo screening femminile.
La scoperta della telemedicina
Lockdown a parte, per questi quattro ambulatori la pandemia si è rivelata anche un’opportunità. «L’emergenza sanitaria ci ha permesso di “scoprire” la telemedicina, oggi utilizzata quando possibile (es. controllo esami, consulenze…) come modalità complementare a quella ordinaria e rivelandosi una facilitazione ottima per le donne con disabilità che hanno difficoltà negli spostamenti», riferisce Giada Morandi coordinatrice dell’ambulatorio «Fior di Loto» – Servizio Passepartout, Città di Torino.
Manca una progettazione
Il problema della scarsa fruibilità degli ambulatori da parte delle persone con disabilità dipende dal fatto che la loro accessibilità non sia presa in considerazione già in fase di progettazione. «Quando un ambiente o uno strumento di indagine medica non viene costruito per essere fruibile da tutte le persone, si rischia di discriminare una parte della popolazione e violare un diritto — osserva Stefania Pedroni, vicepresidente di Uildm —. Vi sono aspetti semplicemente connessi all’incapacità di progettare e costruire strumenti e luoghi fruibili da tutti».
«Design for All»
Da qualche tempo, sta sempre prendendo più piede la cosiddetta progettazione universale. Concepito come il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza, è un modo di pensare e progettare gli spazi e gli oggetti che conceda a tutte le persone la stessa opportunità di partecipare a ogni aspetto della società. Come è possibile concretizzare questo nuovo modello nella realizzazione degli ambulatori? «La diversità umana è infinita: nessuno è così esperto da poter conoscere le esigenze di tutti — risponde , uno dei massimi esperti del settore —. Ecco perché Design for All prevede la consultazione in ogni fase del processo. Il vero esperto è chi sa di non sapere, ma sa chi coinvolgere per imparare. Questo principio vale in ogni ambito: dall’urbanistica ai prodotti, dai servizi alle comunicazioni. In campo sanitario, bisogna cercare il giusto equilibrio tra le esigenze di chi cura e quelle delle persone sottoposte alle cure».
Notizia presa da https://www.corriere.it/salute/disabilita/22_marzo_11/ambulatori-ginecologia-accessibilita-14eac8ac-962f-11ec-ae45-371c99bdba95.shtml?refresh_ce