“Io condivido” Antonio Giuseppe Malafarina condivide: un avatar robotico, permette a chi a una disabilità grave di relazionarsi a distanza

Ciao sono Antonio, nella vita faccio il giornalista freelance, collaborando fra gli altri con Periodici San Paolo e RCS. Mi occupo anche di nuove tecnologie e del rapporto uomo macchina. Non di rado contribuisco a sviluppare moderne tecnologie che, talvolta, finiscono poi nelle mani di tutti, non solo delle persone con disabilità. Mi interesso di arte, di design, di sanità, di linguaggio della disabilità e tante altre cose. La disabilità è condizione umana e in quanto tale si ritrova praticamente in tutti gli ambiti dove ci sono persone, esseri umani. Per questo occupandomi prevalentemente di disabilità finisco per occuparmi di svariate cose. E poi sono curioso per natura: mi interesserei di tante cose anche se non fossi persona disabile. Qualcuno dice che sia poeta: faccio versacci, non scrivo poesie, ma lasciamoglielo credere. E poi organizzo eventi, sempre lavorando in équipe. Vi aspetto al festival delle Abilità (http://festivalabilita.org/) l’11 e il 12 settembre. E sono presidente onorario della fondazione Mantovani Castorina, attenta alle persone con disabilità grave e gravissima (http://www.fmc-onlus.org/).

L’incidente è stato un tuffo in mare in un luogo dove mi sono tuffato migliaia di volte. Un tuffo dalla spiaggia, cose che succedono. Poi una serie di circostanze favorevoli: mio cugino che vedendomi paralizzato in acqua pensa che stia scherzando e poi si accorge che la situazione è grave, mi tira fuori e per caso in spiaggia c’è un medico che mi fa respirare perché ero completamente paralizzato, anche nell’apparato preposto alla respirazione. L’ambulanza, i primi soccorsi rudimentali e scadenti, l’ospedale dove dicono che non arrivo a sera. Mio padre che si batte per parlare con un medico. Una storia travolgente, dura e ricca di circostanze. Devo molto ai miei, probabilmente anche qualcosa a Dio.  L’incidente è del 13 settembre 1988. A Bovalino Marina, in provincia di Reggio Calabria.

Prima del tuffo ho incontrato molte volte la disabilità. A scuola, alle elementari, c’era un ragazzino con una disabilità grave che non riuscivamo a identificare, noi bambini e le nostre famiglie milanesi. Si muoveva con una carrozzina condotta dal padre. Aveva il volto simpatico anche se segnato dalla disabilità. Non comunicava bene, per quanto ricordi. Non faceva parte della mia classe ma lo guardavano con amorevolezza. Lo incontravo per strada senza alcuna forma di rifiuto, anzi con una certa empatia. Certo non mi avvicinavo più di tanto per il timore di disturbare. Erano altri tempi. L’empatia era forte, ho provato a cercarlo qualche settimana fa ho scoperto che sta in un Istituto. Non siamo andati oltre perché non è stato possibile. Alle superiori, poi, avevo un compagno di banco con problemi a un occhio e una zoppia, andavano d’accordo. Eravamo amici. Amici di classe, di quelli che poi si perdono nel tempo, anche perché poi io ho cambiato scuola. E poi altre storie ancora. Non ho avuto mai paura della disabilità. Forse non la capivo ma non trovavo nulla di repellente. I miei mi avevano insegnato a stare vicini alle persone.

 

L’avatar robotico, il nome esatto è questo, permette di relazionarsi a distanza. Pilotandolo da casa con un comune computer, anche in casi di disabilità gravissima, ci si può muovere nel luogo dove è collocato. Puoi girare come vuoi tu, seguire le persone, farti seguire… Puoi ingrandire i particolari, fare sentire la tua voce e ascoltare quella degli altri. È un po’ come essere lì, anche se fisicamente non ci sei. A un certo punto ti sembra proprio di essere li. Ci vuole un po’ di dimestichezza per pilotarlo, soprattutto all’inizio. Poi, almeno per me, diventa divertente. La sua applicazione nel campo della disabilità è evidente: una persona che fa fatica a uscire di casa può visitare luoghi che altrimenti non riuscirebbe a esplorare. La disabilità sta nel rapporto fra persona con le sue condizioni di salute e ambiente e si realizza quando questo rapporto è sfavorevole. Ecco, l’avatar aiuta a ridurre la disabilità, perché rende l’ambiente più vivibile. Una cosa che mi piace particolarmente è la possibilità di relazionarmi con le persone che stanno nel luogo dove c’è l’avatar. Dopo un po’ loro si dimenticano che io sia una sorta di proiezione e si comunica come fra persone realmente presenti. Una bella soddisfazione per chi non può uscire di casa. E pure per chi non vuole uscire di casa, perché un apparecchio così può aiutare tutti. Quello che uso io, va detto, si trova in commercio e può acquistarlo chiunque. Tuttavia è dotato di un software di un’azienda di Siena che ne permette la guida alle persone con disabilità. Il valore aggiunto di questo avatar è proprio questo software.