La 104 e l’Invalidità Civile sono due leggi fondamentali per lo Stato italiano in quanto tutelano e garantiscono un aiuto alla parte più fragile della popolazione, le persone con una disabilità.
In questi giorni si discute della decisione dell’INPS di sospendere l’assegno mensile per i disabili lavoratori e le associazioni di categoria si sono infuriate per le dichiarazioni fatte e per la scelta discutibile rispetto ad un risparmio irrisorio per lo stato.
Vediamo come nasce l’invalidità civile e chi ne ha diritto
Invalidità Civile: legge e requisiti
Per definizione, secondo la Legge 118/1971
Già dalla definizione capiamo quindi che è una invalidità legata alle tipiche funzioni della vita quotidiana e non derivante da cause di servizio, guerra o di lavoro.
Si parla di percentuali, che vengono accertate presso una commissione medica apposita.
Le percentuali viaggiano su due binari differenti di interpretazione: infatti in una prima visione abbiamo che fino al 33% non si hanno riconoscimenti mentre dal 46% si ha la possibilità di essere iscritti nelle liste speciali dei Centri per l’Impiego per l’assunzione agevolata. Spesso capita di leggere negli annunci di lavoro “Categorie protette“, questo ne è il caso ma non solo.
In una seconda visione abbiamo una diversa scansione delle percentuali: dal 33% al 73% assistenza sanitaria e agevolazioni fiscali; dal 66% esenzione del ticket sanitario e dal 74% al 100% prestazioni economiche.
La richiesta per l’accesso al riconoscimento dell’invalidità civile parte da un certificato medico introduttivo del medico di base inviato all’INPS. Successivamente, tramite il codice del certificato medico, il cittadino può inoltrare la domanda di accertamento sanitario, fase in cui si verificano i requisiti richiesti per riconoscimento dell’invalidità civile, cecità civile, sordità, disabilità e handicap.
Dopo l’accertamento tramite commissione medica e il riconoscimento del grado di invalidità, è possibile ottenere le prestazioni economiche.
Invalidità civile: Quali sono le prestazioni economiche a cui si ha diritto
Dopo aver avuto il riconoscimento percentuale dell’invalidità, che deve attestarsi tra il 74% e il 100%, l’INPS procede alla verifica dei dati socio-economici e reddituali trasmessi dal cittadino, in particolare si fa riferimento all’utilizzo del modello AP70 dell’INPS per accertare tali dati.
Le prestazioni riconosciute, volendoci soffermare sui soli invalidi civili, possono essere
- Pensione di inabilità per gli invalidi totali
- Indennità di frequenza per i minori invalidi
- Assegno mensile per gli invalidi parziali, di età compresa tra i 18 e i 67 anni.
- Indennità di accompagnamento, riconosciuta a coloro che risultano essere non deambulanti o con bisogno di assistenza continua.
Di queste, quella che ha destato particolare interesse nelle ultime settimane è l’assegno mensile.
Questa particolare prestazione economica fino a ottobre 2021 era riconosciuta tramite un corrispettivo pari a 13 mensilità all’anno. Per l’anno 2021 l’importo dell’assegno è stato riconosciuto di 287,09 euro con un limite di reddito personale annuo pari a 4.931 euro.
Al compimento dei 67 anni, a meno di modifiche della legge, l’assegno mensile di assistenza si trasforma in assegno sociale sostitutivo.
Assegno mensile: cosa è cambiato adesso
La percentuale per poter aver accesso a questo sussidio statale è tra il 74% e il 99% e che fino a poche settimane fa non si faceva riferimento alla possibilità che l’invalido potesse o meno lavorare, diversamente dalla pensione di inabilità destinata ad invalidi totali.
Ovviamente, con una percentuale riconosciuta così alta, spesso chi ne aveva diritto, faceva lavori con un orario settimanale minimo, compatibile col tipo di invalidità che presentava, comunque con una retribuzione annua che non superasse il limite imposto di 4.931 euro annui che corrisponde a circa 400 euro al mese.
Dopo un periodo di fortissimi ritardi nei riconoscimento di invalidità e legge 104, complice la pandemia, adesso arriva la notizia da parte dell’INPS.
L’assegno mensile, secondo quanto dichiarato dall’INPS, sarà riconosciuto solo a chi non lavora.
Questo orientamento, finora mai preso in considerazione, è legato ad alcune sentenze della Cassazione che hanno dato il via libera all’INPS di introdurre nei requisiti di richiesta anche l’inattività lavorativa a prescindere dal reddito.
La novità è entrata in vigore, con sgomento di molti, dal 14 ottobre 2021 tramite un messaggio sul sito INPS, il numero 3495.
Finora, in linea generale, chi accedeva a dei sussidi economici legati all’invalidità civile risultava essere già impossibilitato allo svolgimento di un attività lavorativa.
In realtà, la legge, faceva riferimento alla possibilità di avere questo tipo di prestazione economica se si era in uno stato di disoccupazione. Lo stato di disoccupazione però si mantiene anche se il reddito percepito non risulta al di sopra di una certa soglia, stabilita come 8.145 annui, per lavoro dipendente e 4.800 euro annui per lavoro autonomo.
Chi, quindi, era ancora in grado di lavorare, ma percependo uno stipendio molto basso, poteva essere ancora considerato disoccupato e rientrare in questi “casi particolari“.
Adesso, anche questi casi particolari, in cui era possibile avere un lavoro, sono stati definitivamente messi da parte.
I sindacati e associazioni hanno iniziato a farsi sentire, in tutela dei loro assistiti e degli invalidi tutti.
In particolare, il presidente dell’Anmic, Nazaro Pagano, parla di “ingiustizia sociale” e “beffa” poichè questo assegno che non sarebbe più corrisposto non arriverebbe neanche a 300 euro mensili, che per chi ha un piccolo lavoretto, risultavano essere fondamentali per avere un reddito dignitoso.
Quel che più preoccupa però è la base di discriminazione che si sta venendo a creare: infatti, chi percepisce una rendita per locazione di un appartamento ma non raggiunge la soglia massima per l’accesso all’assegno, continuerà a percepirlo a differenza di chi, seppur con grandi difficoltà, continuava a lavorare.
Così facendo, sempre secondo Pagano, verrà impedito a migliaia di ragazzi di svolgere anche minimi lavoretti, precari e poco pagati andando a creare un precedente pericoloso di interruzione di un percorso di inclusione sociale.
Spesso infatti questi piccoli lavori, come per esempio quello dei rider, possono essere un ingresso nel mondo del lavoro che però spesso non basta a mantenere un tenore di vita dignitoso.
In nome quindi di questo “paradosso inaccettabile”, l’Anmic chiede all’INPS di spiegare tale decisione. L’Anmic denuncia anche un comportamento non lineare della stessa INPS che dopo aver sottoscritto un protocollo di intesa con Anmic, Ens, Uici e Anffas, obbligandosi a consultare le parti prima di emanare disposizione in ordine alle provvidenze economiche e alle politiche in favore dei disabili, adesso è intervenuto unilateralmente.
A tal proposito, per approfondimento, si inserisce un video proprio dell’Anmic, sulla questione.