“Se n’è andata una gamba ma non la voglia di vivere ogni giorno della mia vita al massimo delle mie possibilità”.
Il motto di Andrea Devicenzi, famoso atleta paralimpico, ci ha incuriosito tanto da volerne sapere di più attraverso un’intervista.
Quando e come è avvenuto l’incidente?
“L’incidente è avvenuto il 28 agosto 1990; ero in sella alla mia moto, tornavo da un paese vicino casa; quasi al termine della serata, ho urtato la macchina che sopraggiungeva in senso opposto oltre che con la moto anche con il ginocchio. L’impatto del ginocchio contro il fanale ha provocato lo scoppiamento del femore e la grandissima emorragia ha procurato l’amputazione della gamba. Avevo 17 anni, in quel periodo lavoravo già con mio padre e all’indomani, quando mi sono svegliato, ho capito che dovevo ricostruire la mia vita!“
Come è riuscito ad andare avanti?
“E’ stato un lungo percorso che ha richiesto molti anni; un passo alla volta sono riuscito a riemergere, a salire la scala della mia vita, concentrandomi sulle cose che potevo ancora fare. C’è stato un momento in cui sembrava tutto impossibile! Quando mi sono accorto che potevo ancora raggiungere importanti traguardi nella mia vita, ho iniziato a pormi dei piccoli obiettivi. E, mano mano che alzavo l’asticella, alzavo l’importanza di questi obiettivi, finchè lavorando molto sulle parole “normalità” e “disabilità”, mi sono accorto di quanto fossero importanti più che le barriere fisiche quelle mentali. Perciò ho fatto molta attenzione alla mia comunicazione, con me stesso e con gli altri, senza mai sentirmi inferiore, ma concentrandomi su quello che volevo e su quello che sapevo fare”.
Di cosa si occupa ora?
Oggi, dopo aver lavorato tanto in un’azienda siderurgica come responsabile di produzione, mi occupo di coaching, sono performance coach. Sono convinto che in ognuno di noi, giovani o meno giovani, indipendentemente dall’età e dal lavoro che si svolge, ci sono continue ed infinite risorse e talenti che possono essere portati a galla; per questo mi occupo di rafforzare i teams, sono anche formatore d’azienda. Mi piace molto lavorare sulla persona, aiutarla a scoprire e ad alimentare risorse e talenti lasciati “incolti”e provare tantissime belle soddisfazioni.
Lei ha ottenuto notevoli soddisfazioni nello sport. Vuole condividerle con noi?
Per me lo sport è fondamentale ; lo sport mi ha salvato la vita, mi ha reso forte nel superare un momento drammatico come quello dell’incidente e me l’ha salvata anche dopo perché mi dona positività, salute fisica e mentale; mi ha portato a conoscere tante parti del mondo, tante persone, tanti atleti, tanti lottatori. Lo sport è una bellissima metafora di vita: oltre al mantenimento e all’accrescimento della tua salute, ti insegna atteggiamenti e modalità che porti in tutte le altre attività della tua vita, ti insegna a capire che prima di raggiungere un obiettivo ti devi sacrificare, sudare, impegnarti con costanza e determinazione e goderti, poi, quando arriva, il traguardo”.
Ci parla dei suoi numerosi ed avventurosi viaggi?
“Ho sempre lavorato molto e fino all’età di 36 anni non ho tanto viaggiato. Poi nella mia vita è entrato, dirompente, il ciclismo e da lì ho iniziato a viaggiare. Ho praticato per tre anni ciclismo ad altissimo livello per acquisire punti per andare alle Paralimpiadi, prima di Londra nel 2012 e poi di Rio nel 2016. In seguito c’è stata l’avventura in India sulla strada carrozzabile più alta del mondo, sulla catena himalayana, 700 Km in mountain bike, in semisolitaria (visto che eravamo in due e basta), a 5602 m, impresa mai tentata e riuscita da un atleta diversamente abile! Poi nel 2011 ho fatto un viaggio a Parigi dove ho partecipato, come primo amputato della storia, alla Paris – Brest – Paris, 1230 Km da percorrere in un tempo massimo di 80 ore. Io ci sono riuscito in 72 ore e 42 minuti! Successivamente, per due anni e mezzo, mi sono cimentato nel Triathlon e ho avuto la fortuna di viaggiare per mezzo mondo; ho partecipato ai campionati europei in Israele e Turchia e ai campionati del mondo in Nuova Zelanda. Sono stato in Perù, nella mia prima avventura in completa solitaria, in bici per 1230 Km, 26 giorni in Perù e quattro giorni sulle Ande con zaino e stampelle, a 4200 m di altitudine e ho visto il Machu Picchu!! Negli ultimi tre anni ho percorso il cammino di S. Francesco, 500 Km, da La Verna fino a Roma; nel 2019 ho percorso la via Francigena dalla Valle d’Aosta fino a Roma e nel 2020 la via Postumia dal Friuli alla Liguria, da Grado fino a Genova, 930 Km, sei regioni attraversate, nove siti UNESCO e tante, tante realtà conosciute”
Quali sono i suoi progetti per il 2021?
“Il 2021 è focalizzato su una mia ulteriore attività, quella imprenditoriale, per portare nel mondo le mie stampelle. L’esperienza con le stampelle che ho avuto nella mia vita mi ha portato ad alzare il limite di questo, capirne le difficoltà e trovare le varie soluzioni. Dal punto di vista sportivo mi sto allenando in bici per affrontare le cinque, sei, sette salite più difficili che abbiamo in Italia, perciò non gare competitive, bensì sfide che all’apparenza potrebbero sembrare impossibili per persone con una gamba sola, ma che pian pianino, un passo alla volta, una pedalata alla volta, diventano possibili“.