A “Io condivido” Cristiana Di Stefano. Assegno invalidità: ora erogato solo a chi non lavora. La denuncia: “Siamo disabili, non soprammobili”

Il diritto all’assegno mensile di invalidità da ora in poi sarà riconosciuto solo a chi non lavora, nemmeno poche ore a settimana. Questo la dice lunga su quanto l’inclusione sociale (che evidentemente si concretizza prima nella scuola, poi nel lavoro) sia tra gli obiettivi dello Stato Italiano e dell’INPS, il nostro istituto di previdenza sociale. L’assistenzialismo vince ancora una volta a mani bassein barba al concetto di inclusione sociale (volta a garantire equità e pari opportunità) di cui troppo spesso ci si riempie la bocca.

Con INPS si è infatti espresso sul requisito di inattività lavorativa, necessario per l’ottenimento dell’assegno mensile d’invalidità, sollevando una scia di polemiche e rimostranze da parte di moltissime associazioni rappresentanti del mondo della disabilità e dei malati rari.

L’INPS si è di fatto uniformato al recente orientamento della Corte di Cassazione secondo cui “il mancato svolgimento dell’attività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge n.118/1971, integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio.”

Ricordiamo che l’assegno mensile d’invalidità è concesso a carico dello Stato ed è erogato dall’INPS per gli invalidi civili nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74%, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste (articolo 13 della legge n. 118/1971 così come modificato dall’articolo 1 della legge n. 247/2007). Il diritto all’assegno è riconosciuto alle persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni.  

Fino ad ora però l’interpretazione era stata estensiva, permettendo quindi di accedere al supporto economico anche a chi svolgeva un’attività lavorativa minima, a condizione che fosse iscritto alle liste del collocamento mirato.  Si potevano svolgere piccoli lavori, entro il limite di 4.931 euro annui senza perdere l’assegno (ai sensi della Circolare n° 148 del 18-12-2020).

Ora questo non è più possibile perché l’INPS, allineandosi con l’interpretazione della Cassazione ha precisato che il diritto all’assegno mensile di invalidità è riconosciuto solo a chi non svolge alcuna attività lavorativa, non riconoscendo l’assegno mensile a chi produce un reddito, seppur minimo (sentenze Cassazione nn. 17388/2018 e 18926/2019).

Nel testo del messaggio si legge infatti che l’istituto “a partire dal 14 ottobre 2021 liquiderà l’assegno mensile di assistenza, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge, soltanto nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.

“La precisazione dell’INPS – commenta lo Sportello Legale non tiene assolutamente conto che lo svolgimento di un’attività lavorativa, seppur minima, per una persona invalida, rappresenta un modo per socializzare più che una modalità di sostentamento e che ora, probabilmente, in molti sceglieranno la via dell’isolamento a discapito di quella dell’inclusione, onde evitare di perdere quel minimo di aiuto quale è l’assegno mensile di invalidità”.

Aggiornamento: Con il Messaggio del 28 dicembre 2021 l’INPS ha recepito l’entrata in vigore della Legge 215/2021, che ridefinisce il significato di inattività lavorativa, e annulla il Messaggio dello scorso ottobre. La richiesta di assegno mensile d’invalidità, per gli invalidi parziali (74-99%), è compatibile con l’attività lavorativa, a patto di rispettare un limite reddituale annuo di 4.931 euro. Qui l’articolo completo 

COSA VUOL DIRE NON POTER LAVORARE –

Per un invalido 100% monoreddito, le entrate totali derivanti dalla pensione invalidità aumentata viene a coincidere con il limite reddituale per la corresponsione dell’assegno di invalidità stesso.

“Nell’agosto 2020 era stato annunciato un aumento dell’importo mensile dell’assegno di invalidità, decisamente utile per chi come me, invalida al 100%, vive da sola lavorando part time. Mi sono recata al CAF della CGIL di Padova – ha raccontato allo Sportello Legale, affetta da Agenesia Sacrale e Sindrome da Regressione Caudale – per capire se avessi i requisiti per poter accedere all’aumento della pensione di invalidità, e mi è stato comunicato che, per avere l’aumento della pensione non si deve superare un reddito annuale (ndr. per cittadini monoreddito) di 8.469,63 €, sul quale però viene a pesare anche la pensione d’invalidità stessa”.

Il decreto legge n. 104 del 14 agosto 2020 aveva infatti esteso a tutti i maggiorenni riconosciuti invalidi civili totali, sordi o ciechi civili assoluti un incremento dell’assegno mensile d’invalidità da 287,09 € fino a 651,51 € per 13 mensilità. Beneficio originariamente previsto (legge 448/2001) solo per i cittadini in età lavorativa al di sopra dei 60 anni. Per avere diritto alla maggiorazione la legge prevede una soglia di reddito annuo personale pari a 8.469,63 euro (che sale a 14.447,42 euro se cumulato con quello dell’eventuale coniuge). Questo fa sì che, per coloro che hanno diritto anche all’indennità di accompagnamento (che per il 2021 è di 522,10 €, per 12 mensilità), il contributo economico mensile potrebbe anche arrivare a superare di poco i 1.000 €. Cifra evidentemente non sufficiente a sostenere tutte le spese a carico di una persona monoreddito che vive da sola e che spesso deve anche farsi carico di prestazioni sanitare e ausili non coperti dal Nomenclatore.

Ciò significa che, se al limite reddituale di 8.469,63 € sottraiamo le 13 mensilità di reddito maturato grazie alla pensione di 651,12 €, per un totale di 8.464,56€, le due cifre vengono praticamente a coincidere.

Chi ha diritto all’aumento della pensione di invalidità non ha diritto a poter lavorare per guadagnare ciò che gli serve per avere una vita autonoma e indipendente – testimonia ancora Claudia – Ora io mi ritrovo a dover fare una scelta personale e professionale e a fare ancora i conti con i limiti che la mia disabilità ha. Voglio poter lavorare, riuscendo a coprire ciò che mi serve per poter avere una vita dignitosa, ma voglio anche essere libera di scegliere per me, sono stanca che gli altri facciano scelte al posto mio”.

LE ASSOCIAZIONI SI MOBILITANO

Sono molte le associazioni che in queste ore stanno denunciando la gravità della situazione.

“Mettere in atto un provvedimento che porterà a un misero risparmio si configura come una azione inqualificabile – denuncia CoLMaRe –Coordinamento Lazio Malattie Rare –  Serve un intervento immediato sulla Legge 118 che cinquant’anni fa fissò i gradi di invalidità e le relative provvidenze, una norma che è alla base dell’attuale interpretazione INPS, che prende a scusante la recente sentenza della Corte di Cassazione. CI HANNO MESSO 50 ANNI A SCOVARE UN CAVILLO GIURIDICO !!! CHISSA’ COSA CI RISERVA IL FUTURO…..”

I MALATI RARI spesso utilizzano i 287,09 euro mensili dell’assegno di invalidità per l’acquisto di medicinali non erogati dal SSN o per pagare visite private ed esami strumentali urgenti – prosegue il Coordinamento Lazio – a causa di tempi d’attesa di mesi se non di anni nelle strutture pubbliche, risparmiare diventerà una necessità e accorciare l’aspettativa di vita inevitabile.
CoLMaRe e tutte le Associazioni aderenti lanciano un appello urgentissimo al Governo e all’INPS per sanare questa incredibile vicenda, e ai mass media chiede attenzione purtroppo inesistente, a questa grave problematica …non una voce o un piccolo trafiletto tra green pass si-no, fascismo e antifascismo, tasse e immigrazione.
Stiamo valutando forme di protesta dura per i prossimi giorni anche in sinergia con le altre organizzazioni di persone con disabilità, I 6 MILIONI DI MALATI RARI ITALIANI contano su tutti noi !”